• Selezionando Cru per Cru

Cesare-Pillon

di Cesare Pillon

Dei tre elementi che possono far grande un vino, e cioè la vigna, la vite e l’uomo, uno solo è fisso, immutabile, non lo si può cambiare: è il vigneto. Proprio per questo, se è vero che il vitigno e il vignaiolo sono importanti, senza un vigneto a grande vocazione un grande vino non è possibile farlo. Che cosa ha spinto i francesi, per i quali la vigna si chiama vignoble, a creare anche un’altra parola, cru, per definirla? Perché non tutti i vignobles sono dei cru. E perché cru, che letteralmente vuol dire crudo, grezzo, secondo il dizionario francese ha un secondo significato che non si applica soltanto alla vigna: è “quella porzione di terreno ove i prodotti vegetali che vi vengono coltivati crescono con caratteristiche migliori”. La sua prerogativa più importante è di conferire al prodotto una personalità inconfondibile. Esiste perciò un metodo infallibile per verificare se un terreno agricolo è davvero un cru: il prodotto che ne scaturisce vi si è totalmente identificato, sia la lenticchia di Castelluccio, il pistacchio di Bronte o lo zafferano di Navelli. E’ alle vigne, comunque, che il concetto di cru meglio si attaglia, tant’è vero che i francesi, i primi a intuire l’importanza fondamentale del terroir, lo hanno metodicamente applicato nelle loro più famose zone vinicole: non solo nel Bordolese, dove da oltre 150 anni è stata istituita ufficialmente una gerarchia tra di essi, ma anche in Borgogna e in Champagne, dove la zonazione esiste nei fatti, visto che viene rispettata una rigida gradazione dei prezzi. E’ talmente profondo e complesso, il concetto di cru, che la parola risulta intraducibile: è stata accolta perciò tale e quale nella lingua di tutti i paesi vinicoli, Italia compresa. Dove però viene spesso stravolta, diventando erroneamente sinonimo di vino di pregio. Non è così: soltanto se si identifica con il vigneto che gli ha dato i natali, il vino può essere definito anch’esso cru. La confusione ha radici storiche dal momento che l’idea stessa di cru ha tardato ad affermarsi in Italia. Come mai? Fino a quando il mercato vinicolo è stato dominato da industriali e commercianti che acquistavano le uve (o addirittura il vino) dai vignaioli e provvedevano a distribuirlo e commercializzarlo, c’era da parte loro una comprensibile riluttanza a dichiarare in etichetta da quale vigna quel vino provenisse, anche se si trattava d’una vigna privilegiata che avrebbe consentito di spuntare un prezzo più elevato: un simile riconoscimento avrebbe dato in mano ai proprietari delle vigne migliori un’arma di contrattazione che ritenevano pericolosa. Quella sorda opposizione è caduta una quarantina d’anni fa, travolta dall’offensiva sferrata da Luigi Veronelli con i suoi interventi giornalistici, quando il vino non è più stato percepito come un alimento ma come fonte di piacere, e quando molti vignaioli, decidendo di vinificare in proprio le uve e di commercializzarne il vino, hanno compreso l’importanza del cru. Si è scatenato anzi, come spesso succede in Italia, il fenomeno opposto, con una corsa a inventare vigneti eccellenti anche dove non c’erano. Ma l’opposizione al concetto di cru non è affatto caduta, anzi ha trovato i suoi più convinti fautori nei paesi di nuova enologia, che non avendo storia vitivinicola alle spalle non hanno neanche la possibilità di vantare vigne elette il cui pregio sia stato confermato dal tempo. Da questi paesi è partita una controffensiva che ha opposto alla nobiltà del territorio la qualità del vitigno, alla denominazione geografica quella varietale. Certo, chiamando Chardonnay o Cabernet sauvignon i propri vini, ci si può rivolgere ai consumatori di tutto il mondo, sicuri di essere immediatamente compresi dovunque. La strada della denominazione geografica, che culmina nel cru, è più difficile e faticosa, ma è anche quella che garantisce ai consumatori prodotti di qualità superiore, visto che è il territorio a fare la differenza, imprimendo al vino personalità e carattere. Il problema è di farlo comprendere al consumatore, il valore di questa differenza. La complessa conformazione della penisola ha generato una molteplicità di territori ad altissima vocazione enoica, profondamente diversi tra di loro, e questa varietà di ambienti, moltiplicata dalle possibili sinergie con una miriade di vitigni che non ha uguali al mondo, è in grado di dar vita, grazie alla creatività che contraddistingue i produttori italiani, a un numero incredibile di vini di personalissimo, irripetibile carattere. Paradossalmente questa enorme ricchezza rischia d’essere vissuta come un handicap. Come può il consumatore, specialmente se straniero, orientarsi in un panorama così intricato? La risposta è in queste pagine: selezionare con rigore i cru che hanno dimostrato d’esser veramente tali affinché possano comunicare al mondo, tutti uniti nella propria indipendenza, quant’è affascinante la loro diversità.

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