Livio Felluga

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Biography

Photo of Livio Felluga

Quando Livio Felluga creò nel 1956 la sua inconfondibile etichetta, una carta geografica con la mappatura delle “proprie colline” per indicare il territorio in cui nascevano i suoi vini, la legislazione sulle Doc, le Denominazioni d’origine controllata, era ancora di là da venire. Praticamente immutata da allora, oltre a rivelarsi uno strumento di marketing d’impatto immediato, quell’etichetta testimonia la sua profonda convinzione che un grande vino può nascere soltanto in un cru, in un grande vigneto. E difatti, quando le Doc fecero la loro comparsa, lui era già andato oltre: vinificava in selezione i suoi vini, vigneto per vigneto, e lo dichiarava orgogliosamente in etichetta. Da dove veniva questa coscienza da precursore? Lui risponde con una battuta di spirito: “E’ ormai da cinque generazioni che la mia famiglia opera nel settore del vino: si può ben dire che da sempre il vino ci ha dato il pane”. Suo bisnonno produceva Refosco e Malvasia in Istria, suo nonno anche, e ne utilizzava una parte nella piccola trattoria che possedeva nella natia Isola d’Istria. La sua terra, che faceva parte dell’Impero austro-ungarico, dopo la Prima guerra mondiale fu annessa all’Italia, ma lui non cambiò attività per questo. Anzi, per ampliarla, nel 1920 inviò un figlio, Giovanni, a vendere il resto nella vicina Grado, ch’era la località balneare preferita dall’aristocrazia mitteleuropea. Livio, ch’é figlio di Giovanni, é quindi cresciuto nella laguna, ma a ridosso del Collio e delle Colline Orientali del Friuli, sognava di produrre vini in quella terra vocata alla vitivinicoltura, ma lo scoppio della Seconda guerra mondiale gli impedì di realizzare qualunque progetto: venne richiamato alle armi nel giugno 1940. Tre anni in Libia, poi la prigionia a Capo Bon e per altri tre anni in Scozia. E, al ritorno, i confini della sua terra erano nuovamente cambiati. Ma lui, appena possibile, tornò agli antichi amori: nei primi anni 50 acquistò qualche ettaro di terreno a Rosazzo, nei Colli Orientali. “Erano anni difficili”, racconta. “La collina era in totale abbandono. Sorgevano le prime industrie e i contadini preferivano avvicinarsi alle città e al lavoro nelle fabbriche. Lo stesso paesaggio stava mutando. La mia sfida era oppormi a tutto ciò cercando di rendere nuovamente produttiva la collina”. Scelse Brazzano, nel Collio, per costruire la cantina dell’azienda, cantina che si é ampliata man mano che la produzione cresceva. Oggi la sua azienda possiede 160 ettari, di cui 135 vitati, nel Collio e nei Colli Orientali, e la sua produzione si aggira intorno a 800mila bottiglie all’anno. Lui potrebbe godersi la posizione di patriarca, la fama di rifondatore della tradizione enoica friulana, ma neanche l’avanzare dell’età é riuscito a fermarlo. E’ stato uno dei primi a capire che i vignaioli friulani non possono continuare a produrre tutte le tipologie concesse dalle Doc: devono coltivare esclusivamente quei vitigni che nei loro terreni danno risultati eccelsi, per creare meno vini ma di inconfondibile personalità. E con l’aiuto dei figli, Maurizio, Andrea, Elda e Filippo, a dispetto dei suoi 90 e più anni, sta realizzando questo programma nei vigneti ad alta vocazione in Vencò, Ruttars e Rolàt, nel Collio, e a Rosazzo, nei Colli Orientali. Ha già messo a segno due esiti entusiasmanti: il Terre Alte, un uvaggio di tocai, pinot bianco e sauvignon, che si é imposto da 11 anni al vertice tra i bianchi del Friuli, e il Sossò, merlot, refosco e pignolo, nato con la vendemmia ’89, un rosso potente e morbido dagli esplosivi profumi di frutti di bosco, confettura di prugne e spezie.

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